Page 19 - Numero Unico 2020
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facto la sua logica bottom-up, ovvero la sua natura partecipativa e interattiva. Da un lato, questo favorisce la partecipazione attiva del pubblico, arricchendo le possibilità del confronto; dall’altro lato, ciò pone all’istituzione (che agisce, non va dimenticato, nel solco di una precisa responsabilità pubblica) la questione di come gestire una interazione di qualità potenzialmente su vasta scala in modo professionale e rispettoso della valenza pubblica dell’evento. Nondimeno, il rischio di possibili attività di trolling, di episodi di frame breaking che possono disturbare la cristallizzata routine di un dibattito e perfino procurare imbarazzo.
Il paesaggio contemporaneo dell’Università digitale in Italia è molto differenziato e presenta caratterizzazioni a “macchia di leopardo”. Gli Atenei agiscono strategicamente nei territori digitali sia perché non possono non farlo – lo scenario nel quale operano le nostre istituzioni è ipermediatizzato e in massima parte digitalizzato –, sia perché il potenziale innovativo della comunicazione digitale è una risorsa da sfruttare, nonostante qualche rischio. Le Università possono ormai contare sul contributo di professionalità e di competenze interne in grado di affrontare e di vincere la sfida digitale. Internet, d’altra parte, è il presente, non solo il futuro della comunicazione. L’Università italiana, come il resto della Pubblica amministrazione, si è trovata a sviluppare la pianificazione all’interno di un quadro normativo non adeguato. Il punto di riferimento legislativo, infatti, è ancora la Legge 150/2000, che disciplina le attività di informazione e di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni. Una legge importante, per molti versi apprezzabile nello sforzo di distinguere il valore pubblico della comunicazione istituzionale, che però è incentrata sul dispositivo della comunicazione di tipo analogico (se si vuole, protodigitale), nel quale nessuna centralità è riconosciuta alla dimensione relazionale e interattiva della comunicazione nelle piattaforme user-generated contents. La legge fa piuttosto riferimento alle strutture informatiche, alle reti civiche e alla multimedialità. Ai formati tipici dei media tradizionali, come la pubblicità. La legge 150/2000 dimostra un ritardo molto marcato rispetto alla realtà, sempre in più rapida trasformazione, che dovrebbe regolare.
Ne deriva, s’è detto, un quadro degli Atenei digitali non omogeneo. Una situazione ben fotografata ogni anno dal Censis, attraverso la compilazione di una classifica delle Università italiane che considera – tra i vari parametri – anche la qualità della comunicazione e dei servizi digitali . Se osserviamo la valutazione nel 2019 dei Mega Atenei statali italiani (ovvero quelli pubblici con oltre 40mila iscritti) e se teniamo conto delle tendenze che sono venute a consolidarsi durante gli anni precedenti, l’Università Alma Mater Studiorum di Bologna conferma un ruolo guida tra gli Atenei nazionali più digitali. Mostrano performance valutate significativamente sopra la media, quasi ma non ancora a livello di quelle bolognesi, gli Atenei di Padova, Firenze e Torino. Milano Statale e Roma “La Sapienza” registrano performance valutate in linea con la media nazionale. Sotto la
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