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L’articolo comparso su Metro del 10 febbraio scorso in terza pagina non può non colpire l’attenzione: su uno sfondo in cui troneggia il simbolo delle radiazioni dietro l’immagine della centrale nucleare di Flamanville-Francia,  teatro dell’ultimo incidente (senza vittime e senza contaminazione) un articolo su Cnapi, la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il deposito unico di scorie nucleari. Per non farsi mancare nulla, un trafiletto su Fukushima e sulle ultime stime del livello di radioattività nel cuore del reattore n. 2.

Come Fisici medici non vogliamo parlare del 60% dei rifiuti che verranno ospitati nel deposito, costituiti dalle scorie radioattive derivanti dalle centrali smantellate a seguito del referendum popolare del 1987,  che dovrà il confinamento sicuro per almeno 300 anni. Anche se vorremmo capire su quali presupposti vengono giudicati “precari e pericolosi” gli attuali depositi temporanei.

Vogliamo invece esprimere il nostro parere riguardo a quella quota di rifiuti costituita da ciò che avanza dall’impiego sanitario. Nell’articolo si parla, infatti, di “rifiuti derivanti dalle attività di medicina nucleare”, generati in passato e che verranno generati  in futuro.

E’ vero: dalle attività di Medicina Nucleare, diagnostica e terapeutica, derivano rifiuti radioattivi. Sono ciò che resta di indagini o trattamenti, eseguiti su pazienti, facendo uso radioisotopi. Dobbiamo tenere conto del fatto che la maggior parte degli isotopi di cui parliamo è a breve, se non brevissima emivita: ciò significa che i rifiuti possono (e generalmente così avviene) essere conservati per periodi brevi (ore, giorni, più raramente mesi o anni) e smaltiti come rifiuti perfettamente assimilabili a quelli ordinari dal punto di vista della contaminazione radioattiva. Tale gestione avviene in sicurezza, sia per gli operatori che per la popolazione. Se così non fosse, la pratica non verrebbe nemmeno autorizzata dagli enti preposti (ATS, ASL, USL,…). Ogni pratica che prevede l’impiego di radioattività viene infatti autorizzata solamente quando il beneficio che ne deriva ai pazienti e quindi alla società è nettamente superiore ai rischi che ne derivano. Gli unici rifiuti con emivite superiori di 75 giorni (quelli che richiedono uno smaltimento mediante ditta autorizzata) sono le parti metalliche sostituite ai ciclotroni, le macchine che producono l’isotopo per gli esami PET. Tuttavia le emivite e le quantità in gioco sono assolutamente irrisorie se confrontate ai rifiuti provenienti dalle centrali nucleari.

Tornando all’articolo, particolarmente infelice è il riferimento, a titolo di esempio, a “tac e risonanze magnetiche”: le risonanze magnetiche, come è ben noto, non emettono radiazioni ionizzanti. E le tac le emettono nel momento in cui vengono acquisite le immagini su paziente: terminata la sequenza di acquisizione, non resta traccia delle radiazioni emesse, non restano rifiuti radioattivi da gestire. Per inciso, questo vale anche per tutte le altre apparecchiature a raggi X, con le quali si effettua la stragrande maggioranza delle indagini radiologiche.

Il messaggio che vogliamo lanciare, come Associazione Italiana di Fisica Medica, non vuole essere semplicemente e genericamente  rassicurante: vuole riportare la comunicazione al rispetto del requisito di base, che è quello della correttezza. Dall’informazione corretta deriva la capacità di scegliere con responsabilità. Da un’informazione scorretta solamente confusione, paura (in questo caso del nucleare), e nel tempo scelte precipitose, costose, dannose per tutti.

Informiamoci presso fonti accreditate quando vogliamo farci un’idea (www.fisicamedica.it). Il resto sono chiacchiere da bar, che lasciano solamente un tempo peggiore di quello che hanno trovato.