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    Troppe indagini radiologiche: un danno per la salute?

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    Il problema dell’uso eccessivo delle indagini TC viene ancora una volta evidenziato da uno studio dell’Università del Maryland (http://www.dottnet.it/articolo/22301/tac-selvaggia-e-cure-aggressive-ecco-le-dieci-procedure-inutili/?tag=10426909703&tkg=1&cnt=1).

    Come fisici medici sappiamo bene che la radioprotezione di basa sui principi di giustificazione e ottimizzazione. Per ridurre l’esposizione ai pazienti è  sicuramente necessario che ogni esame sia eseguito in modo ottimale e, per questo aspetto, siamo direttamente coinvolti. Ma, prima ancora, è  fondamentale evitare la prescrizione di esami inutili: è il medico radiologo che valuta l’appropriatezza dell’indagine radiologica.

    Secondo una ricerca del 2012 (Analysis of outpatient radiology requests, Radiologia Medica 2012; Autori principali: C. Bibbolino e M. Cristofaro) che, in realtà, è stato il primo lavoro scientifico pubblicato sull’argomento, in Italia risulta inappropriato o inutile il 44% degli esami radiologici. I margini di miglioramento sono enormi e il tema dovrebbe essere oggetto di un serio e rigoroso confronto tra le figure professionali coinvolte.

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    2 COMMENTI

    1.  

      Riportiamo qui di seguito un parere autorevole, quello del Dott. Corrado Bibbolino, medico radiologo e autore della pubblicazione del 2012 citata nel primo post (Analysis of outpatient radiology requests, Radiologia Medica 2012; Autori principali: C. Bibbolino e M. Cristofaro).

       

      A distanza di qualche anno dalla pubblicazione della ricerca effettuata dal mio gruppo  quando lavoravo allo Spallanzani non si può dire che la situazione sia stata risolta anche se il tema della inappropriatezza non riguarda solo la TC. Prevale nel nostro paese quello della RM muscolo scheletrica (https://choosingwiselyitaly.org/societa/sirm/). Questo perché nel nostro paese, a differenza degli USA dove si denuncia la eccessiva effettuazione di TC per cisti dell’ovaio, l’uso clinico della ecografia, direttamente effettuata dal medico, riduce di molto la necessità di esami potenti e costosi che oltreoceano sono resi necessari dalla pratica di separare negli ultrasuoni l’estrazione di immagine (in ecografia come si sa estremamente soggettiva) dalla valutazione diagnostica e la refertazione.

      Ancora di questi giorni un allarme importante lanciato dall’ACR ( sulleTC con mezzo di contrasto.

      Purtroppo nel nostro paese né i politici, né i pazienti riescono a rinunciare alla facile demagogia con cui si annuncia l’abbattimento delle liste di attesa mediante la effettuazione di esami in più. E le iniziative, come quelle di Slow Medicine, sull’uso appropriato (sobrio, rispettoso e giusto) dell’imaging rimangono ancora appannaggio di poche menti illuminate in alcune isole sparse qua e là nel Paese.

      Più esami, più sovradiagnosi, più incidentalomi che renderanno “malate” persone sane senza migliorare, anzi, il loro stato di salute .

      Se nuove macchine e nuovi algoritmi riducono la dose di radiazioni somministrata, il numero di somministrazioni non tende a diminuire.

      Occorre aumentare lo sforzo per diffondere ulteriormente la cultura della sobrietà in un paese assediato dalle fakenews. Non è facile ma una azione combinata tra medici radiologi e fisici medici può essere una delle chiavi di volta per una azione efficace approfittando delle occasioni fornite dalla nuova direttiva europea.

       

      Corrado Bibbolino

    2.  

      Leggendo i risultati della ricerca citata (44% delle indagini radiologiche inappropriate), come fisico medico il primo pensiero va a tutta la dose indebita e a quanto ne consegue; considerato il numero di indagini radiologiche svolte annualmente in Italia facendo uso di radiazioni ionizzanti (“lastre”, TAC, ecc.), il 44% significa varie decine di milioni di esposizioni inutili…Sappiamo anche che le radiazioni, in linea di principio, sono dannose per la salute: la radiobiologia ci dice che, nella popolazione di chi si sottopone ad indagini radiologiche, alcuni individui svilupperanno dei cancri mortali. Il rischio, che è comunque basso, viene accettato alla luce del beneficio che un’indagine comporta per l’individuo (possibilità di fare una diagnosi e impostare la terapia correttamente). Ma tutte le indagini ritenute “inappropriate”, comportano un’inutile esposizione della popolazione senza produrre alcun beneficio.

      Possiamo anche andare oltre e vedere il fenomeno da un punto di vista più generale. Tutte quelle indagini “inutili” hanno comportato un impiego gigantesco di attrezzature radiologiche; attrezzature che hanno a volte un costo molto elevato,  invecchiano e vanno sostituite ad un ritmo che dipende anche dal numero di esami che vengono fatti. Uno spreco di risorse umane: parliamo dei tecnici di radiologia che hanno svolto le indagini, dei radiologi che hanno refertato, del personale amministrativo che ha gestito la comunicazione dei risultati ai pazienti. Un dispendio di risorse enorme, a discapito di quei pazienti per i quali l’indagine è sicuramente appropriata e hanno magari dovuto attendere giorni, settimane, perché la richiesta venisse evasa. E a discapito delle risorse messe a disposizione per la salute; a parte alcune isole felici, è sotto gli occhi di tutti la loro contrazione, o l’inadeguatezza a rispondere alle esigenze che, giustificate o meno, crescono ad un ritmo esponenziale nel tempo.

      Penso che se anche solo la metà di quelle indagini inutili venissero evitate, tutti quei problemi che affliggono le radiologie italiane sarebbero risolti, e non solo; investire altrove le risorse risparmiate consentirebbe di colmare le lacune in altri settori. La domanda che sorge spontanea è: perché avviene tutto ciò? La domanda è semplice e scontata, non così la risposta; è complessa, non compete certamente al fisico medico, ma alcune evidenze sono sotto gli occhi di tutti. Da una parte una popolazione di pazienti certamente più attenta, preparata, ma spesso anche incapace di accettare un tempo di attesa per quanto breve o, comunque,  ininfluente; mediamente affetta da quella che potremmo definire sindrome del Dr. House…è facile comprendere come ciò sia terreno fertile per un privato che voglia investire e, successivamente,  realizzare profitto. Ne consegue la rincorsa da parte del pubblico che, pur con regole diverse,  cerca di competere in termini di produttività. La parola d’ordine diventa produrre tanto, a tutti i costi, raggiungendo il budget concordato ad inizio anno. Poche le voci fuori dal coro, una per tutte il progetto ‘Fare di più non significa fare meglio’, di Slow Medicine, tanto poco ascoltata…Aggiungiamo la piaga della medicina difensiva e il quadro è  quasi completo: piuttosto che rischiare una denuncia eseguo una TAC, anche se non serve a nulla.

      Quali vie d’uscita si possono intravedere? Certamente serve una buona, anzi, eccellente preparazione da parte del medico radiologo (generalmente lo è), che deve saper dire di no ad una richiesta inappropriata. Il professionista, poi, deve essere supportato da una Direzione Aziendale che non lo abbandoni nel momento in cui viene contestato, se non denunciato.  Aggiungerei anche un poco di disponibilità da parte dei pazienti, che non si mettano al posto del professionista ma, insieme a lui, seguano con fiducia il percorso diagnostico e terapeutico costruito insieme. 

      La risposta, è evidente, non può arrivare se non da una reale sinergia fra le parti in causa, a qualsiasi titolo. È complessa, non immediata, ma prima o poi e da qualche parte bisognerà pur cominciare.