Il recente articolo di Milena Gabanelli e Simona Ravizza ‘Tumori al seno, i mammografi e gli ospedali da evitare’, pone l’attenzione sull’obsolescenza dei macchinari per mammografia presenti in molti ospedali italiani.
Si parla di mammografi in generale troppo vecchi, si evidenzia che ‘la mammografia digitale di ultima generazione garantisce una definizione dell’immagine più precisa, una migliore capacità diagnostica e minor esposizione alle radiazioni’. Si riporta che secondo il Ministero della salute ‘l’obsolescenza è un dato preoccupante che può determinare, un’indebita esposizione a quantità di radiazioni oggi non accettabili associata a una ridotta capacità diagnostica. Come poter avere quindi maggiori garanzie riguardo a questo esame? Le pazienti possono informarsi, prima di sottoporsi all’esame, sul tipo di mammografo utilizzato e scegliere di conseguenza dove rivolgersi.’
Leggendo quest’articolo, ancora una volta resto sorpresa dal fatto che si dia per scontato che ‘tecnologicamente avanzato’ automaticamente implichi sicurezza ed efficienza. Arriva una nuova apparecchiatura, si attacca la spina e per magia tutto é perfetto: ottima qualità, bassi livelli di dose al paziente. Magari! Come fisici medici sappiamo quanto lavoro, quanti controlli e valutazioni devono essere fatti prima che una nuova apparecchiatura possa essere considerata idonea per l’impiego clinico E quanto lavoro si fa per continuarne a garantire un livello di prestazione adeguato nel corso del suo utilizzo. Anche sulle apparecchiature più vecchie.
Certo, stare al passo con la tecnologia é importantissimo ma in tutto questo ragionamento sul nuovo che garantisce il meglio manca un aspetto fondamentale: l’apparecchiatura da sola non garantirà mai l’adeguatezza dell’esame se non esiste un serio ‘programma di assicurazione di qualità ‘ peraltro obbligatorio in base alla normativa vigente.
Ricordo come il debutto del digitale in radiologia fu seguito da pubblicazioni scientifiche riportanti la preoccupazione per un potenziale aumento della dose al paziente a causa della possibilità di ottenere immagini utilizzando anche alti livelli di esposizione, diversamente a quanto accadeva per le apparecchiature analogiche.
Nella scelta del centro in cui fare un esame i pazienti, oltre che a informarsi sulla tipologia di apparecchiatura dovrebbero anche poter conoscere il livello di controllo della stessa.
Anche un’apparecchiatura di ultima generazione può comportare elevati livelli di esposizione alle radiazioni e produrre immagini di cattiva qualità se non adeguatamente e periodicamente sottoposta a una serie di controlli.
Dietro a una buona apparecchiatura c’é un grande lavoro, invisibile agli occhi del paziente ma con un impatto determinante sul risultato dell’esame e questo i pazienti dovrebbero saperlo.
Concordo a pieno su quanto è stato scritto dai miei colleghi e detto dal Prof. Grassi e, in qualità di fisico medico che da circa 20 anni si occupa di mammografia e screening mammografico, vorrei ancora aggiungere un breve commento.
La mammografia è un esame molto particolare, per cui è fondamentale che tutta l’equipe abbia una profonda preparazione specifica: chi effettua l’esame (TSRM), chi lo referta (medico radiologo) e chi ne controlla la “qualità globale” (fisico medico). Riporto quindi qualche piccolo e banale esempio a dimostrazione del fatto che concentrasi solo sulla tecnologia, come è già stato detto, è estremamente riduttivo.
1. Con i nuovi mammografi digitali è facile chiedere approfondimenti diagnostici (come la tomosintesi, spesso chiamata anche mammografia 3D) che implicano una ulteriore esposizione all’organo in esame: il medico radiologo poco esperto di mammografia, quindi più insicuro nella diagnosi, è portato a chiederne un numero maggiore rispetto a un radiologo-senologo esperto, aumentando quindi indebitamente la dose alla paziente (che però si potrebbe sentire più “curata” a seguito dell’approfondimento).
2. Il corretto posizionamento della mammella nelle diverse proiezioni deve essere effettuato dal tecnico di radiologia con cura e competenza al fine di garantire che tutto l’organo venga esaminato, pena un errore di diagnosi. Inoltre una compressione insufficiente della mammella aumenta la dose di radiazione alla stessa e dà origine a un’immagine di qualità peggiore, ma la donna, avendo meno fastidio, può essere erroneamente portata a pensare che l’esame sia stato effettuato meglio.
3. La catena che porta alla refertazione di un’immgine radiologica comincia dal controllo sulla quantità di radiazione emessa dal tubo radiogeno e finisce con la valutazione della qualità dell’immagine mammografica sul monitor/sistema di visualizzazione del radiologo. Se il trasferimento dell’immagine, dall’acquisizione alla visualizzazione, non avvinene in modo rigoroso, essa perde di qualità e il radiologo non è in grado di refertarla correttamente. Il fisico medico è deputato a monitorare anche la catena di qualità.
Il consiglio per le donne che devono sottoporsi a un esame mammografico è quindi quello di rivolgersi a centri in cui lavorino equipe esperte, unica vera garanzia di qualità dell’esame.
E’ difficile non condividere, come fisici medici, quanto scritto da Stefania delle Canne; chi lavora in trincea conosce bene le problematiche, a 360 gradi, e sa bene che la tecnologia, se non gestita in maniera ottimale, non solo rischia di non portare beneficio, ma addirittura aumentare il detrimento (maggiore esposizione, sovradiagnosi, incidentalomi…).
Queste ed altre le sottolineature fatte dal Professor Roberto Grassi, presidente SIRM, nell’intervista che possiamo ascoltare qui. Con l’occasione, il presidente SIRM ha sottolineato la rilevanza del Fisico Medico nell’ambito della garanzia della qualità.