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    Radon, Regioni e Ragionevolezza

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    Dopo quasi due anni dall’entrata in vigore del D.Lgs 101/20, la parte sul radon rimane una delle più problematiche dal punto di vista applicativo, in particolare per i luoghi di lavoro caratterizzati da tempi di occupazione bassi ma concentrazioni molto elevate.

    A titolo di esempio, applicando i metodi di calcolo previsti, la permanenza per 5 ore/anno in un locale con una concentrazione di radon di 100 kBq/m3, comporta una dose di 3,33 mSv.

    Vale la pena richiamare che il decreto dice esplicitamente che sono lavoratori esposti a radon quelli che superano i 6 mSv/anno; in tutti gli altri casi deve essere “tenuta sotto controllo l’esposizione”, qualunque cosa questo voglia dire, e comunque devono essere attuate azioni di rimedio (art. 17 comma 4).

    Ricordiamo che la ratio della norma è che siano sempre possibili azioni di rimedio di tipo strutturale che devono essere attuate a prescindere dalla valutazione di dose, pur ammettendo la necessità di tenere conto “dello stato delle conoscenze tecniche e dei fattori economici e sociali” (art 17 comma 3).

    In effetti, applicando rigorosamente il modello lineare senza soglia alla relazione tra concentrazione di radon e tumore al polmone, è facile dimostrare che, per ridurre il numero assoluto di tumori al polmone, gli interventi di risanamento sui tanti edifici dove la concentrazione è prossima ai 300 Bq/m3 sono più importanti di quelli nei pochi (in realtà non pochissimi) luoghi di lavoro dove il livello di riferimento è superato per più di un fattore 10. Sarà per questo o per la fretta, che il decreto non contiene una riga di norma transitoria sui luoghi di lavoro, nei quali gli Esperti qualificati avevano già individuato azioni di rimedio, spesso di tipo procedurale.

    Detto questo è comunque apprezzabile l’estensione della prevenzione del rischio radon alle abitazioni, demandando alle regioni e alle provincie autonome l’individuazione delle aree prioritarie, definite come “aree in cui si stima che la concentrazione media annua di attività di radon in aria superi il livello di riferimento in un numero significativo di edifici”, (art. 11, comma 1).

    In queste aree, devono essere fatte essenzialmente due cose:

    misurazione della concentrazione di radon nei luoghi di lavoro “anche nei locali semisotterranei o situati al  piano terra” (art. 16 comma 1);

    promozione di campagne e azioni da parte delle Regioni e delle Provincie Autonome, per incentivare i proprietari di immobili adibiti a uso abitativo, aventi locali situati al pianterreno o a un livello semi sotterraneo o sotterraneo, a effettuare la misura della concentrazione  di  radon (art. 19 comma 1).

    Su molti siti delle ARPA, si trovano mappe delle aree ad elevata concentrazione di radon per diverse regioni e provincie autonome; le regioni

    Piemonte http://www.regione.piemonte.it/governo/bollettino/abbonati/2023/02/siste/00000374.htm

    Lombardia https://www.arpalombardia.it/temi-ambientali/radioattivita/il-radon/aree-prioritarie-rischio-radon/

    hanno deliberato la pubblicazione della propria mappatura ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 11 del D.Lgs 101/20.

    La tutela delle aree a rischio è doverosamente estesa ma senza semplificare alcun adempimento negli ambienti di lavoro situati in aree dove le stesse ARPA riconoscono che il rischio radon è basso.

    La lettera R nel principio ALARA continua a essere la più misteriosa.

    Commenti

    2 COMMENTI

    1. Non posso che essere d’accordo, in particolare relativamente all’ultima frase: la ragionevolezza fa fatica ad attecchire dalle nostre parti, complice qualche lacuna normativa sottolineata nel blog, che combinata con picchi locali di interventismo disordinato portano a volte a scelte scellerate…con grande fatica sono riuscito a stoppare un datore di lavoro che in buona fede, lancia in resta, voleva imporre la sorveglianza sanitaria dei lavoratori che si trovavano ad operare in ambienti dove, anche di poco, venivano superati i 300 Bq/m3…siamo sicuri che una TC Low Dose all’anno (che peraltro non ha comportato, stando ai dati di letteratura, una riduzione della mortalità), per non parlare del controllo periodico dei maker tumorali?
      In Svizzera -manco a dirlo!- il problema è stato affrontato in modo ordinato, ragionevole, con indicazioni estremamente chiare: chi volesse approfondire può leggersi questa paginetta che fa riferimento a un documento di semplice lettura (senza continui salti da un art. x comma y D.Lgs. z all’altro) nel quale, in 7 pagine (non ci sono errori di digitazione, confermo, 7 pagine) viene inquadrato il problema e fornite indicazioni RAGIONEVOLI e inequivocabili per intervenire.