Ci renderanno fosforescenti

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Quante volte abbiamo sentito battute di questo tipo pronunciate da personale esposto a radiazioni ionizzanti, magari formato a termini di legge e perfino laureato in medicina.

Se possiamo accettare lo scherzo da chiunque, abbiamo però il dovere ogni tanto di ricordare che quando si parla di radiazioni ionizzanti non tutti sono propensi a ridere, in particolare quando una guerra coinvolge un paese dotato di centrali nucleari e con precedenti significativi in materia.

Ci sono infatti aspetti di radioprotezione che a noi sembrano ovvi, dovrebbero essere bagaglio culturale di chiunque avesse fatto la scuola dell’obbligo, ma così non è: proviamo a ricordarli brevemente.

Per partire dalla battuta nel titolo, è vero, le radiazioni ionizzanti possono anche provocare luminescenza, per una serie di fenomeni ma solo in particolari condizioni e senza necessaria correlazione: ci sono fenomeni di luminescenza indotta dalle radiazioni ionizzanti che non comportano alcun rischio e sorgenti di radiazioni ionizzanti che non danno luogo a nessuna luminescenza ma sono molto pericolose; tutte le combinazioni sono possibili.

Secondo: le radiazioni ionizzanti possono fare molto male ma, in generale, non rendono radioattivi gli oggetti.

Per attivare un corpo è necessario che sia modificata la struttura dei suoi nuclei,  questo è possibile solo per assorbimento di neutroni o di fotoni di altissima energia. In pratica solo all’interno dei reattori nucleari o degli acceleratori di particelle.

Terzo: quello che viene troppo spesso confuso con l’attivazione è il fenomeno della contaminazione radioattiva. In questo caso gli atomi radioattivi di una sorgente che si definisce per questo “non sigillata”, aderiscono, in qualche caso reagendo chimicamente, con la matrice interessata.

L’unico modo per ridurre la pericolosità di una sorgente radioattiva è quello di segregarla fino a quando, a causa del decadimento, questa non sia più pericolosa, il che tra l’altro nel campo medico di solito succede prima che sia necessario fare alcunchè.

Negli altri casi, è quasi sempre possibile procedere alla decontaminazione utilizzando la chimica alla quale ubbidiscono anche gli isotopi radioattivi. Spesso è sufficiente lavare via la contaminazione con semplice acqua, nei casi più complicati si cerca una sostanza chimica che abbia la capacita di legarsi chimicamente all’isotopo radioattivo separandolo dall’oggetto o dal tessuto biologico contaminato.

Bisogna sempre ricordare tuttavia che la contaminazione così rimossa è essa stessa una sorgente radioattiva non sigillata e come tale va gestita.

Anche le famigerate pastiglie di iodio, sono un mezzo chimico per prevenire la contaminazione della tiroide da parte dei soli isotopi radioattivi dello iodio che, negli incidenti che coinvolgono i reattori nucleari a fissione, costituiscono un fattore di contaminazione importante ma non l’unico.

Altre forme di contaminazione interna, sono meno gestibili, per esempio, una frazione di Cesio 137 si fissa nelle ossa e viene rilasciato solo molto lentamente; questo isotopo inoltre ha una sua mobilità nell’ecosistema essendo fissato dai funghi che sono mangiati dai cinghiali, che possono diventare pappardelle al sugo.

Da tempo, abbiamo tutti gli strumenti per prevenire il rischio di incidente, valutare gli effetti degli incidenti e anche di quelle che la normativa definisce situazioni di esposizione esistente in quanto correlate a radionuclidi naturali o prodotti da avvenimenti del passato, compresi i test di armi nucleari in atmosfera che producono effetti misurabili ancora oggi.

In conclusione, non si diventa radioattivi per una TAC e, salvo parere contrario delle autorità sanitarie, possiamo serenamente dedicarci alle pappardelle al cinghiale contribuendo all’equilibrio della catena alimentare. Gli esperti possono sforzarsi di essere più chiari ma anche il pubblico deve abituarsi che la tecnologia che ci è utile ubbidisce alle regole della scienza non a quelle della magia.