Su Repubblica è uscito un articolo dal titolo allarmistico “Scorie nucleari, la valanga radioattiva che arriva dalla sanità”.
Il testo in realtà è molto più equilibrato in quanto autorevoli e competenti colleghi spiegano con chiarezza quali sono i rifiuti radioattivi effettivamente prodotti dalla sanità.
Molti di noi hanno dovuto rispondere, trattenendo sguardi al cielo o imprecazioni, a una valanga di richieste di spiegazioni da parte di persone che temevano di essere radioattive dopo una radiografia; la nostra rubrica dedicata a questi aspetti, #ilfisicomedicorisponde, contiene svariati esempi del fatto che anche i medici, ahimè, non sempre aiutano a fare chiarezza.
Il nuovo decreto sulla radioprotezione (D.lg. 101/20, n.d.r.)pone una grossa questione: abolito il termine, effettivamente arbitrario, dei 75 giorni, lo smaltimento deve sempre essere in qualche modo giustificato, ricorrendo, nei termini e nelle forme previste, alla dimostrazione di non rilevanza radiologica. Si tratta di un approccio conservativo e di buon senso se il buon senso lo vogliamo applicare tutti.
Una singola somministrazione diagnostica di Tc-99m non ha rilevanza radiologica se finisce nel paziente ma nemmeno se incidentalmente finisce sul pavimento e viene smaltito tra i rifiuti. Questo possiamo dimostrarlo facilmente, ma chi legge le dimostrazioni deve poi accettarlo.
Per risolvere “il problema delle scorie nucleari” non è sufficiente costruire il deposito, e comunque non si riuscirà a costruirlo finché nell’opinione pubblica non passa l’idea che la radioattività è una proprietà naturale che può essere incrementata artificialmente, né più né meno di altre e può essere controllata.
Ribadiamolo con chiarezza: la sanità impiega effettivamente sostanze radioattive che nella stragrande maggioranza dei casi hanno vite medie tali da rendere irrilevante il loro impatto sull’ambiente e certamente trascurabile il rischio rispetto al beneficio. Una parte dei materiali attivati dai ciclotroni finirà nel deposito, che non è una sciagura, ma una garanzia per tutti.