La Direttiva 2013/59/Euratom, che dovrà presto essere recepita anche dall’Italia, richiede espressamente che” l'informazione relativa all'esposizione del paziente faccia parte del referto della procedura medico-radiologica”.
Se le persone non sono messe in condizioni di comprendere il significato di valutazioni che richiedono anche un certo impegno, possono sorgere gravi fraintendimenti.
Su internet è facile trovare che “mediamente”, una TAC comporta una dose di 10-20 mSv. Meno facile accettare sul, proprio referto, un valore di 50 mSv che è comunque ben al di sotto della soglia di effetti deterministici.
Per questo, non è al momento certo che l’informazione relativa all’esposizione debba essere espressa in termini di dose. Il problema è capire quali possono essere le alternative.
Siamo già intervenuti
https://www.aifm.it/blog/utilizzare-male-il-cellulare-pu%C3%B2-causare-t...
sul problema che comporta la mancanza di fiducia nelle istituzioni scientifiche.
Un certo scientismo che ha contaminato anche il sistema formativo italiano nel secolo scorso, ci aveva abituato a credere che la scienza non sbaglia mai e ha sempre e solo risposte certe.
Succede però che il consenso scientifico comporta un aggiornamento continuo delle conoscenze; la non comprensione della complessità dei fenomeni, amplificata da certi meccanismi della comunicazione rischia di fare perdere autorevolezza alla scienza.
In realtà, solo le previsioni dei maghi sono certe: se non si verificano, sono state interpretate male.
La certezza dei risultati scientifici poggia invece sul metodo sperimentale: si formula un’ipotesi e la si verifica in base ai dati disponibili.
Quando questo metodo si applica alla valutazione di rischio, dobbiamo essere consapevoli che i risultati incidono sulla vita delle persone e devono essere pertanto comunicati correttamente.
La stessa Direttiva, prevede anche l’aggiornamento dei criteri di valutazione del rischio radon.
La legislazione italiana vigente, prevede un livello di azione, applicabile solo all’esposizione dei lavoratori, di 500 Bq/m3.
Al di sopra di questo valore, sono obbligatorie azioni di rimedio che possono essere evitate, se, applicando un certo metodo di calcolo, si dimostra che la dose è inferiore a 3 mSv/anno.
La Direttiva non fissa più un livello di azione per il radon ma un livello di riferimento, a 300 Bq/m3, applicabile sia all’esposizione sui luoghi di lavoro sia al radon nelle abitazioni.
Il livello di riferimento è “il livello di dose efficace o di dose equivalente o la concentrazione di attività al di sopra del quale si ritiene inopportuno permettere che si verifichino esposizioni, anche se non è un limite che non può essere superato”.
La sostituzione del livello di azione con il livello di riferimento comporta tuttavia che le azioni di rimedio devono essere attuate quando applicabili, anche al di sotto di 300 Bq/m3.
I metodi di calcolo aggiornati, comportano, per un’esposizione a radon a concentrazione pari al livello di riferimento, una dose di 4 mSv/anno nei luoghi di lavoro e (a causa del maggiore tempo di permanenza) 14 mSv/anno nelle abitazioni.
In questo quadro, si considera ottimizzata la protezione dei lavoratori se la dose risulta inferiore a 6 mSv/anno.
L’adeguamento alla Direttiva, salvo che l’Italia decida di adottare criteri più restrittivi, comporterà quindi un raddoppio del riferimento alla dose in mSv ma nel quadro di un’estensione della protezione , dovuta a:
passaggio dal livello di azione al livello di riferimento a 300 Bq/m3,
estensione delle valutazioni agli edifici residenziali;
estensione delle azioni di rimedio.
Tutto questo può essere accettato dal pubblico nella misura in cui è preparato, informato e confidente che il sistema istituzionale di cui anche AIFM fa parte è autorevole e affidabile.
Potrebbe non essere semplice anche perché il cosiddetto villaggio globale tende a diffondere teorie del complotto quando sono affascinanti, non quando sono verosimili.
I Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) avevano progettato un esperimento chiamato SOX, che prevedeva l’impiego di una sorgente ad altissima attività dell’isotopo beta-emittente Ce-144.
L’esperimento richiedeva di per se un’ elevatissima schermatura della sorgente finalizzata a lasciare passare solo i neutrini.
I comitati no-SOX che si sono ovviamente mobilitati paventando catastrofi, hanno vinto senza combattere quando, nel febbraio 2018, l’INFN ha annunciato l’annullamento dell’esperimento
http://home.infn.it/it/comunicazione/comunicati-stampa/2783-infn-e-cea-a...
L’impianto di riprocessamento russo di Mayak, che doveva produrre la sorgente estraendola da combustibile nucleare esaurito, aveva infatti annunciato nel dicembre precedente di avere alcune difficoltà a produrre l’attività richiesta e aveva poi dato forfait.
Due mesi prima, nell’ottobre 2017, l’ARPA di Milano aveva, prima in Europa, evidenziato una concentrazione in aria dell’ isotopo Ru-106, altro prodotto di fissione.
I successivi controlli hanno confermato che in tutta l’Europa occidentale si era diffusa una certa quantità di questo elemento, con concentrazioni comprese tra qualche decina di uBq/m3 e un valore di 150 mBq/m3, rilevato in Romania che era il paese più a est tra quelli che hanno collaborato alle indagini.
Per capire quanto il rischio radiologico dalle nostre parti sia stato trascurabile basta considerare che il rutenio è meno radiotossico del radon e confrontare i numeri con i livelli di riferimento di cui sopra.
Quello che è rilevante è che tutte le simulazioni successivamente eseguite
https://www.pnas.org/content/116/34/16750
hanno evidenziato come la “nube” di questo isotopo non poteva che avere avuto origine “intorno a Mayak” e che la spiegazione più verosimile sia ancora quella dell’incidente durante il trattamento di combustibile.
Le autorità russe hanno sempre negato qualunque collegamento con quello che, se confermato, sarebbe un evento di grado 5 sulla scala INES, quella nella quale Chernobil e Fukushima sono a 7.
Non ci vuole molta fantasia a immaginare che nel processo di preparazione della sorgente di cerio per SOX qualcosa sia andato storto, tuttavia nè i comitati no-SOX né quelli che dicono che si tagliano gli alberi per il 5G si sono sentiti.
Questa vicenda conferma come l’attenzione ai problemi legati alle radiazioni sia già elevata da parte del sistema di controllo, tuttavia è necessario che il pubblico si informi e consideri che rischi e opportunità riguardano comunque tutti.
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