Buongiorno, il mio nome é Silvia. In merito all'articolo pubblicato dal Corriere della Sera del 31/8/2017 dal titolo "Le Radiazioni Fanno venire il Cancro?" qual è la vostra opinione in materia? Grazie!
L’articolo ‘Raggi X e Tac fanno venire il cancro? ’ pubblicato di recente sulla rubrica ‘dubbi e fake news’ del Corriere della sera, a cura di Vera Martinella rimanda a una tematica che sta molto a cuore all’AIFM: l’importanza di fornire alle persone che non hanno competenza in questa materia, un’informazione scientifica, facilmente comprensibile, sui possibili effetti associati all’impiego delle radiazioni ionizzanti in ambito medico, in particolare sullo sviluppo di tumori.
Mancanza di chiarezza, o addirittura di informazione, può diventare per il paziente motivo di ansia, nella maggior parte dei casi, ingiustificata.
E’ indubbio che le radiazioni ionizzanti siano uno degli strumenti fondamentali della medicina contemporanea, sia nella diagnosi che nella terapia, la cui pratica, senza il loro uso, sarebbe attualmente impensabile. I vantaggi indiscutibili per la prevenzione e per la scelta della cura più corretta, possono essere accompagnati da un rischio, generalmente molto ridotto, di effetti dannosi.
E’ noto infatti che gli elevati livelli di esposizione impiegati agli albori dell’utilizzo dei raggi X, a causa della mancanza di conoscenza dei loro effetti sulla salute umana, abbiano portato da subito ad evidenziare danni sulle persone che lavoravano con essi e come i drammatici eventi di Hiroshima e Nagasaki abbiano purtroppo fornito, attraverso osservazioni nel tempo che durano ancora oggi (studi di follow-up) evidenze di tali effetti sui sopravvissuti alla bomba atomica.
L'induzione del cancro da radiazioni è l’ effetto per la salute più temuto, effettivamente da tempo documentato per livelli di esposizione elevati.
La probabilità che si manifesti tale tipo di danno biologico, danno di tipo stocastico (probabilistico), dipende dall'energia totale assorbita (denominata ‘dose assorbita’, misurata in gray, Gy) dai tessuti e dalla differente sensibilità alle radiazioni dei diversi organi e poiché non é possibile definire una soglia di esposizione che tuteli dal rischio, si assume che tale probabilità sia direttamente proporzionale alla dose assorbita.
Va però ribadito che i dati sugli effetti dannosi si riferiscono a esposizioni ad elevati livelli di dose, mentre attualmente, non esistono studi abbastanza completi che dimostrino con certezza la possibilità di sviluppare un tumore radio-indotto a bassi livelli di esposizione, tipici della maggior parte degli esami diagnostici più comuni.
La stima del rischio a bassi livelli di dose viene quindi estrapolata dai dati ottenuti per esposizioni a dosi molto elevate ed é condivisa a livello scientifico, per gli effetti probabilistici, la teoria che a basse dosi (< 100 mGy, per dare un’idea dell’entità corrispondenti a circa 5-100 Tac e 100-100.000 esami RX), la probabilità di sviluppare un tumore sia direttamente proporzionale alla dose assorbita: maggiore é il livello di esposizione maggiore é il rischio.
La quantità ‘dose assorbita’ può essere misurata e/o calcolata e costituisce la base per la valutazione della probabilità di sviluppo di un tumore radio-indotto. Tale probabilità viene stimata, attraverso la grandezza ‘dose efficace’, espressa in sievert (Sv) che tiene conto della diversa sensibilità dei diversi tessuti alla radiazione. Alcuni tessuti sono infatti più radiosensibili rispetto ad altri, pertanto a parità di irradiazione in diverse parti del corpo si possono avere differenti livelli di rischio.
E’ bene però comprendere che, a dosi tipiche della radiologia diagnostica ( indicativamente 0.01-1 mSv per esami RX tradizionali e 3-20 mSv per esami TC tradizionali), il corretto uso di tale grandezza é esclusivamente quello di permettere un confronto approssimativo tra i rischi derivanti da diverse procedure e non quello di valutazioni per il singolo individuo.
Radiografie dentali, del torace o degli arti possono essere ritenute una categoria di esami con rischio trascurabile (circa 1 caso su 1.000.000) mentre esami più complessi quali esami TAC ( singola scansione),comportano rischi più elevati ma comunque bassi (da un caso su 10.000 a un caso su 1.000). Considerando che l’incidenza naturale dei tumori è stimata essere circa pari a un caso su tre, è ben comprensibile come gli esami diagnostici apportino un contributo molto ridotto al rischio a cui tutti noi siamo naturalmente esposti.
Inoltre poiché lo sviluppo di tumori radio indotti ha periodi di latenza dell’ordine degli anni risulta difficile stabilire, se un’esposizione alle radiazioni ne sia stata l’effettiva causa.
La presenza di un rischio, seppur basso, associato alla natura intrinseca delle radiazioni, non può comunque prescindere da attente valutazioni del rapporto beneficio / rischio per giustificare l’effettiva necessità di una procedura medica con raggi X. Come ben evidenziato nell’articolo citato, la ‘giustificazione’ di una procedura radiologica é uno dei principi di base a garanzia della protezione del paziente. E’ un obbligo, prescritto dalla normativa vigente esistente nel nostro paese (D.Lgs.187/00) a tutela delle persone esposte alle radiazioni a scopo medico.
A ulteriore tutela la normativa sancisce l’obbligo di applicare un altro principio fondamentale, il ‘principio di ottimizzazione’, in base al quale per minimizzare il rischio presunto è necessario ridurre i livelli di esposizione senza che ciò vada però a discapito dei vantaggi di una corretta diagnosi: una riduzione elevata della dose potrebbe determinare una scarsa qualità delle immagini, aumentando così paradossalmente il rischio di non avere informazioni sufficientemente utili per effettuare una diagnosi valida.
Giustificazione e ottimizzazione delle procedure garantiscono che: solo esami per i quali il rapporto rischio/ beneficio sia stato attentamente valutato vengano eseguiti, e che tali esami siano sempre ottimizzati.
Infine, un chiarimento va fatto anche sulle apparecchiature utilizzate: sempre come previsto dalla normativa vigente, le apparecchiature che emettono radiazioni devono essere sottoposte sia a verifiche specifiche prima del loro utilizzo clinico che a costanti controlli periodici, tutto ciò a garanzia dell’adeguatezza della tecnologia utilizzata: queste verifiche devono essere effettuate da uno specialista in fisica medica; non sempre infatti l’apparecchiatura tecnologicamente più avanzata determina il miglior trattamento se non adeguatamente e regolarmente monitorata.
Come specialisti in fisica medica, figura professionale prevista dalla normativa più volte citata, deputata al calcolo della dose, ai controlli sulle apparecchiature e coinvolte nei processi di ottimizzazione, troppo spesso, purtroppo, abbiamo modo di constatare quanto un’informazione fuorviante, incompleta e non tempestiva sia motivo di preoccupazione per i pazienti, nella maggior parte dei casi ingiustificata che, se non tempestivamente fugata, in casi estremi può diventare motivo di grande sofferenza.
La ringraziamo pertanto di averci dato la possibilità, con il suo quesito, di affrontare una tematica per noi fondamentale.
Cordiali saluti
Stefania delle Canne
Gentile dottore,
ho appena fatto una Tac (prima in vita mia)con liquidino di contrasto all’addome completo.
So che è molto invasiva , credo su 15
mSv.
Ogni anno, la persona media riceve circa 3 o 4 mSv da fonti radioattive naturali e artificiali.
Io ho 66 anni quindi dovrei avere in corpo ,dato che non si eliminano contempo ma si sommano, circa 150 mSv.
La domand che pongo è questa: averne 150 o 165 che differenza fa?
Grazie Saluti Nino Branchi